L’importanza di dire “NO” per aiutare i bambini a crescere

Concedere tutto al proprio figlio è forse la via più semplice, eppure non la più educativa. Sono proprio i “no” detti con autorevolezza e senza paura di ferire che aiutano il bambino a crescere e sviluppare la propria indipendenza.


DAI TROPPI NO AI TROPPI Sì: DALL’EDUCAZIONE AUTORITARIA ALLA SUPREMAZIA DEL FIGLIO

I cambiamenti storici e sociali degli ultimi decenni hanno influito molto sul ruolo dei genitori. Si è passati infatti da un’educazione di tipo autoritario, dove i rapporti erano regolati dalla figura paterna che comandava, puniva e stabiliva quando dire sì e quando dire no, a una di stampo più materno, concentrata sulla cura, sull’accudimento e sul porre i bisogni e i desideri dei figli al centro. Mentre nel primo caso i bambini crescevano dentro no a tassativi che generavano sensi di colpa e paura, ora vige la “supremazia del figlio”, in cui il genitore quasi si sottrae al suo ruolo educativo per paura di ferire e di entrare in conflitto con lui. 

L’IMPORTANZA DI DIRE “NO” AI FIGLI

Molti genitori hanno spesso paura di entrare in conflitto con i figli e temono che il “no” possa compromettere la relazione con loro. In realtà non è così, infatti: 

  • la negazione rappresenta una funzione regolativa fondamentale per la crescita del bambino. 
  • Un no motivato non è cattiveria: deve essere condiviso da entrambi i genitori e diventare un modo per dare ai figli degli insegnamenti e per educarli. 
  • Grazie ai no, i figli ricevono delle informazioni precise e nel frattempo creano con noi un rapporto aperto. 
  • Il no, inoltre, determina uno spazio tra genitori e figli, una posizione di distacco che non si può né controllare né conoscere. Questa separazione è però sinonimo di autonomia: è anche grazie a ciò che si aiuta un figlio a crescere.

A OGNI FASCIA DI ETÀ IL SUO “NO”

I “no” che un genitore deve affrontare sono diversi a seconda dell’età e dello sviluppo del bambino poiché rispondono a specifiche esigenze di crescita.

  • Prima infanzia: il no come divieto. È la fase in cui il bambino comincia ad esplorare il mondo e incontra pericolo o attua comportamenti istintivi che vanno educati (es. i morsi all’asilo). Il “no” detto in modo chiaro e rassicurante, senza spiegazioni, aiuta il bambino a capire come muoversi nello spazio e con gli altri.
  • Tra la prima e la seconda infanzia: il no come limite. È l’età in cui il bambino prende coscienza di sé. È fondamentale concedere loro libertà e spazio per imparare ad esplorare il mondo e se stessi ma è altresì fondamentale fissare in modo preciso i limiti.
  • Seconda infanzia e pre adolescenza: il no come regola. È un “no” più complesso perché mira allo sviluppo dell’autonomia e della libertà personale. È, però, con lo stabilire delle regole che il ragazzo riesce a capire quali sono gli spazi in cui può esprimere la propria libertà.
  • Adolescenza: il no della resistenza. È il “no” più difficile perché non deve essere imposto ma occorre ascolto, dialogo, negoziazione e a volte la capacità di lasciarsi andare. È il no più importante perché aiuta il ragazzo a capire e portare avanti il proprio progetto di vita ma in modo consapevole.

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